sabato 26 gennaio 2008

"Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali"

Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267

"Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali"


pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28 settembre 2000 - Supplemento Ordinario n. 162

Bilancio Partecipativo: esperienze amministrative e metodi praticabili IL RESOCONTO DELLA SERATA

Bilancio partecipativo ... a cura di un amico del meetup di Beppe Grillo

Isabella Leoni (cons. comunale Castrocaro Terme e Terra del Sole)
Il bilancio partecipativo è una forma di partecipazione diretta alla vita politica della città.
La partecipazione può intendersi su base territoriale (considerando le diverse circoscrizioni comunali), oppure su base tematica (considerando le diverse professioni e i diversi settori produttivi).

Il percorso canonico è questo:

priorità emerse dalla cittadinanza -------> ufficio di pianificazione ----------> bilancio --------------> approvazione in giunta

In Italia il bilancio partecipativo ha preso piede dalla fine degli anni '90 e soprattutto nel centro della nostra penisola.
Ad Udine è in atto addirittura un corso di formazione per imparare a mettere in atto una partecipazione democratica.


Pier Paolo Fanesi (Responsabile delle politiche partecipative al Comune di Grottammare)

Fanesi è autore di una tesi di laurea sul bilancio partecipativo e le sue competenze in materia sono al servizio del comune marchigiano di Grottammare, un unicum in Italia per questo modello di gestione comunale.
Grottammare, cittadina di 15000 abitanti, conosce il bilancio partecipativo dal 1994, anno in cui la lista civica "Solidarietà e Partecipazione" inizia la sua fortunata esperienza di governo che dura, ad ora, da ben tre mandati.
L'esempio di Grottammare è modello in Italia e in Europa e prende spunto dalla prima esperienza di bilancio partecipativo che è stata quella della metropoli brasiliana di Porto Alegre.
Si pensava che solo situazioni di forte tensione sociale e di elevata criticità come quella della città brasiliana, potessero essere l'humus adatto per l'attecchire del bilancio partecipativo; cosa invece smentita completamente dal caso di Grottammare, che con il suo turismo e il suo vivaismo può considerarsi luogo godente di benessere sociale ed economico.

Aspetto politico

-Movimento cittadino al governo della città: Solidarietà e partecipazione (cittadini di ogni estrazione politica e sociale)
-III mandato consecutivo, dal 1994
-Trend elettorale dicotomico del comune: alle amministrative prevale la sx, alle politiche la dx

Criteri

- Dimensione finanziaria
- Non solo aspetti di vicinato
- Presenza di una ciclicità
- Momenti deliberativi
- Regole chiare e modificabili (no agli statuti, sì all'elasticità)

I primi elementi fondanti del bilancio partecipativo sono i Comitati di Quartiere
Ciclo del bilancio partecipativo 2003-2007

Assemblee ---> Tavolo partecipativo dei Quartieri
Assemblee ---> Redazione ed approvazione del bilancio

Il primo problema delle istituzioni locali è quello della comunicazione: riuscire a raccogliere l'attenzione del cittadino, già distratta dal caos di pubblicità e bombardamento mediatico al quale è sottoposto. Pertanto la campagna elettorale è stato un momento in cui la lista civica si è dovuta impegnare assai per giungere a delle forme propagandistiche valide.

Ci si è accorti che il livello di partecipazione, anche nella stessa città, è maggiore nelle zone dove ci sono maggiori problemi e tende invece ad abbassarsi una volta che questi vengono risolti.
Ci si è accorti poi che, a differenza di quanto pensano i detrattori del bilancio partecipativo, i cittadini non chiedono mai troppo; solitamente il cittadino applica alla collettività la stessa economicità che usa in casa sua.

Un effetto di certo positivo è che con la presenza di questo modus operandi politico è aumentata, da parte dei cittadini, la sensibilità verso il sociale piuttosto che verso l'urbanistica.

Altro dato davvero sorprendentemente positivo è che ben l'89% delle richieste venute dai cittadini sono state realizzate grazie a questa formula.

Limiti del bilancio partecipativo

- Continui tagli agli enti locali
- Solo distribuzione delle risorse
- Partecipazione occasionale

Oltre il bilancio partecipativo
- Problem-solving
- Piano regolatore generale
- Riunione del mercoledì (momento decisionale, in cui si interviene come singoli individui, non come associazioni, partiti, ecc., al fine di dare a tutti le stesse possibilità)
- Accordo di programma
- Progettazione interventi
- Politiche di regolamentazione

Nuova figura del politico
- Accountability
- Responsiveness

Rischi del processo

- Farsi moda
- Utilizzo propagandistico

Aspetti critici ed ostacoli

- Disaffezione alla politica
- Attività di lobbying
- Non esportabilità del modello
- Assenza di alcuni strati sociali (mancano i giovani e gli stranieri)
- Opposizione dei partiti

Questioni aperte

- Formalizzazione del processo
- Coinvolgimento della struttura amministrativa
- Un processo tecnico o politico

Ultime considerazioni
- Non si allungano i tempi
- Non è logica per gli addetti ai lavori
- No risorse illimitate
- Internet ha solo un ruolo informativo, comunicativo e non ci sono, ad esempio, strumenti di votazione online (Fanesi pensa che la comunicazione attraverso il pc rischi di creare barricate pregiudiziali tra chi scrive, mentre, se condotta a voce, una qualsiasi discussione si arricchisce di una maggior comprensione reciproca e di una maggior disponibilità anche a cambiare punto di vista)

Per contattarlo:
Pier Paolo Fanesi
0735739247
fanesipaolo@yahoo.it

Il maggiore studioso di bilancio partecipativo è Giovanni Allegretti.
Ecco un interessantissimo documento per approfondire questi temi, a sua cura, direttamente dal meetup di Udine: http://files.meetup.com/209309/BilancioPartecipativo.pdf

venerdì 28 dicembre 2007

Il bilancio partecipato ... ... intervento di Pier Paolo Fanesi

UNA CITTÀ n. 135 / gennaio 2006 PIER PAOLO FANESI

L’ASSEMBLEA DI QUARTIERE

Il bilancio partecipato non è solo una generica consultazione popolare, ma la messa in campo di una serie di procedure definite perché i cittadini possano partecipare alle decisioni. L’esperienza di Grottammare, dove dal bilancio si è passati a un problema ben più complesso come il piano regolatore. La forza che dà la partecipazione dei cittadini anche per fronteggiare gli interessi speculativi. Intervento di Pier Paolo Fanesi.

Pier Paolo Fanesi è responsabile dell’Ufficio Democrazia Partecipativa del Comune di Grottammare (AP). Pubblichiamo il suo intervento al convegno “Il mutualismo oggi”, organizzato lo scorso gennaio a Forlì dalla Fondazione Alfred Lewin e da Una Città.

Da ormai dieci anni lavoro al municipio di Grottammare, piccolo comune dell’Ascolano, dove mi occupo di istanze e procedure partecipative, in primis il bilancio partecipativo.
Grottammare è un paese di quindicimila abitanti, situato nel sud delle Marche, ed è stato uno dei primi comuni italiani ad avviare una sperimentazione di bilancio partecipato, di democrazia partecipativa. Tanto che viene spesso paragonato a Porto Alegre.
Ovviamente gli amministratori sono i primi a prendere le distanze da questo tipo di paragone, perché è vero che ci rifacciamo in parte a quell’esperienza, da cui siamo stati positivamente influenzati, ma le realtà sociali e le dimensioni con le quali ci confrontiamo sono diverse. A Porto Alegre c’è un problema di favelas, disagi sociali radicali, a Grottammare il processo partecipativo ha preso piede su un tessuto socio-economico di benessere, fondato principalmente sul turismo. Da qualche anno otteniamo quattro “vele” e quest’anno abbiamo ricevuto il punteggio più alto dell’intera costa marchigiana.

La storia del bilancio partecipativo
Il bilancio partecipativo è un progetto nato in Sudamerica, a Porto Alegre, alla fine degli anni ’80, con la vittoria del Partito dei lavoratori, che giunto al potere lancia la scommessa del governo partecipato. La sfida era quella di decidere assieme alle persone, di trasferire il potere decisionale dalle istituzioni alla cittadinanza. Un processo iniziato a rilento, ma che negli anni ha guadagnato la fiducia e la legittimità generale, tanto è vero che la destra, uscita vittoriosa alle ultime elezioni, ha fatto proprio quel percorso e lo sta portando avanti.
In Italia quell’esperimento è salito alla ribalta grazie soprattutto ai social forum, quelli europei e quello tenutosi appunto a Porto Alegre, dove studiosi e amministratori italiani si sono incontrati, alcuni decidendo di adottare lo stesso approccio.
E’ difficile stabilire cos’è e cosa non è un bilancio partecipativo. Più che un documento contabile, un regolamento, l’articolo di uno statuto comunale, a me piace definirlo un percorso fatto di volti, persone, opportunità, vittorie e sconfitte, come pure di risultati inaspettati. Non è possibile quindi definire con una linea precisa quando si può (e quando invece non si può) parlare di bilancio partecipato. Proprio per avere delle indicazioni sono stati stilati alcuni parametri. Sono così usciti cinque punti fondamentali che ci permettono di distinguere un reale bilancio partecipativo da un’esperienza di altro tipo.
Quando parliamo di bilancio partecipativo? Quando abbiamo una dimensione finanziaria. Cioè parliamo di bilancio partecipativo quando parliamo di risorse, non solo di progetti.
In secondo luogo, il bilancio partecipativo non può fermarsi ad aspetti di “vicinato”, deve assumere un vero modello di sviluppo locale: bisogna portare le persone a decidere appunto su un paradigma di sviluppo della propria collettività e comunità. Non basta poter decidere sulle piccole cose. Sebbene rimanga un gioco a somma positiva, nel senso che va bene anche una partecipazione cittadina, dove talvolta si decide moltissimo, parliamo di bilancio partecipativo quando effettivamente c’è un processo di codecisione in termini di modelli di sviluppo, di scenari condivisi.
Dev’esserci poi la presenza di una ciclicità, nel senso che il bilancio partecipativo non può rimanere isolato all’interno di un’assemblea, di un momento. La partecipazione deve riguardare un percorso, non solo una tappa, altrimenti il rischio è quello di un ascolto “selettivo” da parte delle istituzioni: chiamo i cittadini in assemblea, li interrogo su una questione precisa, l’idea a me più consona, la realizzo e poi la cosa finisce lì. Questo non è bilancio partecipativo.
Il bilancio partecipativo inoltre deve avere alcuni momenti deliberativi: un percorso di questo tipo comporta una cessione di potere. La partecipazione deve andare a intaccare i meccanismi tradizionali; deve entrare nella “scatola decisionale” in un modo o nell’altro.
Infine devono esserci regole chiare e al contempo modificabili. La partecipazione si deve poter nutrire di partecipazione, quindi le modalità della partecipazione sono anch’esse soggette al medesimo processo. Tutto questo per dire anche che il bilancio partecipativo non è un kit da esportare da un Comune all’altro.

A Grottammare il bilancio partecipativo viene introdotto agli inizi degli anni ’90, più precisamente nel 1994. A livello internazionale la globalizzazione ha già iniziato a mostrare la sua faccia meno pulita, con tutte le contraddizioni e i paradossi su cui è chiamata in causa. E’ ormai chiaro che le grandi decisioni vengono prese a livelli sovranazionali, in arene lontane dal cittadino, per di più sempre maggiormente orientate su scenari economici e non politici. Organismi come il Fmi, la Banca Mondiale, la stessa Europa, nel migliore dei casi soffrono di un deficit di legittimazione. A livello nazionale la situazione non è più rosea: nel 1992 viene arrestato Mario Chiesa e da lì viene a galla il sistema di corruzione passato poi alle cronache come Tangentopoli.
Grottammare viene da una storia politico-amministrativa tutt’altro che originale, quarant’anni di governo democristiano, nessuna operazione di decentramento né di partecipazione. Nel 1993 si va alle elezioni e vince il centrodestra che per problemi interni non riesce però a portare a termine il mandato. Si arriva così al commissariamento dell’amministrazione.
In questi stessi anni prende vita un movimento cittadino che si chiama “Solidarietà e partecipazione”. Questa lista si presenta alle elezioni del 1994 alleata ad alcune forze di centro-sinistra e vince sbaragliando i partiti tradizionali. Quello è un po’ l’anno zero dei meccanismi partecipativi che vorrei ora raccontare.
La nuova giunta, fatta di giovani, cittadini provenienti dalla società civile, fuoriusciti dai partiti, trovandosi ad affrontare un problema così grosso come quello di dover amministrare una collettività, comincia a convocare le persone proprio allo scopo di stilare un bilancio: cosa ci devono mettere, quali istanze devono portare all’interno del documento contabile, ecc. Si formano così dei comitati di quartiere e piano piano, in maniera del tutto inconsapevole, si va a formare un modello di bilancio partecipativo che oggi risulta piuttosto strutturato e che ha la finalità di delegare decisioni importanti alla cittadinanza.
Assemblee e comitati, usciti come proposte informali, spontanee, dalla giunta neoeletta, col tempo si sono consolidati e sono diventati le due colonne attorno a cui, a tutt’oggi, si struttura il percorso del bilancio partecipativo e della democrazia partecipativa in generale.

Gli aspetti tecnici
L’aspetto tecnico di questi processi viene spesso lasciato nell’ombra. Credo sia invece opportuno spendere qualche parola per raccontarlo.
Intanto va detto che le assemblee di quartiere sono anche il prodotto di una divisione territoriale venuta fuori tenendo conto della conformazione morfologica del territorio: sono stati individuati quattro quartieri e sono nati quattro comitati, dove sono state indette assemblee prima e dopo il bilancio.
Dal 1994 al 2003 il processo di bilancio partecipativo ha funzionato essenzialmente secondo questo schema: un primo ciclo assembleare con un valore propositivo, in cui far emergere le cose; poi seguiva la redazione del bilancio con ulteriori assemblee che andavano a verificare cosa era stato inserito e cosa no dalla giunta. Di fatto i comitati di quartiere agivano parallelamente, nel senso che se le assemblee rappresentavano una dimensione collettiva, fondamentale alla partecipazione, i comitati di quartiere davano una garanzia di continuità.
Nella partecipazione la dimensione collettiva è fondamentale affinché la battaglia del singolo diventi battaglia comune. Del resto il bilancio partecipativo nasce per fronteggiare una necessità prima ancora dell’amministrazione che dei cittadini.
Nel 2003 è avvenuta una ristrutturazione nell’articolazione di questo processo. Innanzitutto sono aumentati i quartieri, da quattro a sette. Questo per un motivo molto semplice: per avere assemblee di una dimensione più gestibile. Ovviamente questo ha reso il tutto più faticoso, perché le assemblee di quartiere per gli amministratori sono tutt’altro che momenti di relax: è il momento in cui il problema del singolo diventa problema di tutti. L’idea di avere più assemblee, ma con dimensioni numeriche ridotte, è nata anche per agevolare tutte quelle persone (anziani, immigrati, analfabeti) che avrebbero fatto fatica a prendere la parola in ambiti più affollati. Si voleva evitare che a intervenire fossero sempre e soltanto il presidente dell’associazione o del comitato di turno, o il segretario di partito.
Quindi sette assemblee, da cui emergono tutte le richieste della cittadinanza, fino a generare un vero e proprio elenco. Successivamente si fa un tavolo tecnico, in cui vengono stralciate tutte quelle richieste che per difetto di competenza il Comune non può accogliere. Segue il tavolo partecipativo dei quartieri, che è un momento di incontro tra la giunta e i portavoce delle assemblee dei quartieri. E’ il tavolo a cui vengono portate tutte le richieste dei cittadini.
Tali proposte, tutte verbalizzate, sono elaborate dagli uffici comunali e suddivise in tre categorie: segnalazioni, proposte di interesse di quartiere, proposte di rilevanza cittadina.
Le segnalazioni, inerenti a problematiche minori (vigilanza, raccolta rifiuti, segnaletica, piccole manutenzioni ecc.) e su cui in genere c’è poco da decidere, vengono inoltrate direttamente agli uffici preposti alla loro soluzione.
Le proposte di interventi di quartiere e quelle di rilevanza cittadina, integrate con altre pervenute agli amministratori attraverso altri mezzi (lettere, e-mail, incontri diretti nella sede municipale), vengono riportate nelle assemblee di quartiere, nell’ambito di un secondo ciclo di incontri, in cui i cittadini possono singolarmente esprimere, anche alla luce dell’analisi di fattibilità e di costo, il proprio voto per indicare l’ordine di priorità. Ne scaturisce una graduatoria di interventi da mettere in atto, che l’Amministrazione Comunale si impegna a rispettare rigorosamente.
Le preferenze emerse complessivamente riguardo le priorità di rilevanza cittadina, anch’esse sottoposte al voto su un’apposita scheda, vanno a costituire invece una griglia di verifica del programma di mandato dell’Amministrazione Comunale.
Quindi, riassumendo, primo ciclo di assemblee, elenco generale delle richieste, tavolo partecipativo dei quartieri, tripartizione delle richieste, secondo ciclo di assemblee di quartiere in cui i cittadini vengono informati e votano.
Quest’anno siamo al 70% rispetto alla realizzazione sia degli interventi di quartiere sia di quelli cittadini. Sono proporzioni importanti.
Come funzionano le assemblee? In quelle del primo ciclo c’è il sindaco che spiega ciò che è emerso ed è stato (o non è stato) realizzato nel bilancio partecipativo dell’anno precedente, e perché. Si illustra e si contestualizza il bilancio. Perché a colpi di finanziarie le risorse stanno subendo grandi tagli. Poi prendono la parola i cittadini ed espongono i problemi.
Nel secondo ciclo di assemblee il problema è simile: si parla degli interventi di quartiere e cittadini su cui si andrà a votare. Quindi sono più mirate e finalizzate alla votazione, il momento conclusivo dell’assemblea.
Questa è un po’ la struttura. Dalla ricerca che ho condotto sul bilancio partecipativo di Grottammare ho ricostruito un percorso fatto di 124 processi decisionali effettuati nei dieci anni di sperimentazione. Questo per dare anche l’idea della complessità insita in scenari di questo tipo.

I limiti del bilancio partecipativo
Il bilancio partecipativo non è tutto rose e fiori, come può apparire sulla carta. Le assemblee di quartiere sono sempre da costruire. All’inizio ricordo un’assemblea di quartiere con due cittadini. Ad altre casomai partecipavano 850 persone e diventavano ugualmente ingestibili. E’ un processo che alterna opportunità e impasse. Bisogna poi far sempre i conti con questioni “esogene” perché i Comuni oggi devono far fronte a un trasferimento di competenze e contemporaneamente a un taglio delle risorse!
Questo è un problema enorme perché se c’è poco a disposizione si rischia di far morire la partecipazione insieme al bilancio. Il bilancio partecipativo infatti interviene solo sulla distribuzione delle risorse. Di qui una prima considerazione: ma se questo meccanismo funziona perché non allargarlo anche ad altri ambiti?
Nel 1997 si doveva toccare il piano regolatore generale. Alle assemblee partecipative del bilancio è presto emersa con forza la necessità di intervenire anche in questi meccanismi.
Sono nate così decine di assemblee tematiche e un Ufficio di piano regolatore aperto tutti i giorni, con la presenza di alcuni facilitatori che spiegavano ai cittadini cosa rappresentasse questo documento all’apparenza così ostico, con disegni di piazze, strade, ecc., e ne delineavano i punti più importanti, le scelte strategiche che stavano per essere fatte.
Un percorso che dall’Ufficio del piano regolatore ha raggiunto e coinvolto centinaia di persone. E’ caduto così l’argomento in base al quale i cittadini non possono intervenire sul piano regolatore in quanto troppo complicato.
Ebbene, quel piano regolatore, bloccato da venticinque anni, proprio perché ostaggio di interessi politici ed economici, una volta sottoposto a una legislazione popolare così forte, è stato modificato nel giro di un anno e mezzo, due anni, riuscendo a tagliare un milione di metri cubi di area edificabile, riportando parte del territorio a zona agricola.
Il progettista addetto mi ha confessato che mai gli era capitato di veder ridotto il volume di edificabilità. Non solo è stato sventato il ben noto rischio che a prevalere siano gli interessi privati, ma è stato anche sfatato uno dei luoghi comuni per cui la partecipazione allunga i tempi dei processi. In questo caso li ha accorciati.
Altro strumento su cui abbiamo sperimentato la partecipazione è quello che noi chiamiamo la “riunione del mercoledì”. Una scadenza settimanale in cui il movimento si riunisce con autoconvocazione, a cui tutti i cittadini possono partecipare. E’ un momento molto particolare, a volte più partecipato, a volte meno. In questa sede non si vota, si procede per deliberazioni. Non ci sono interessi da difendere, non c’è negoziazione, non è un tavolo in cui cedo qualcosa in cambio di qualcos’altro. E’ un po’ la riunione dell’esecutivo in cui i cittadini, tutti, possono intervenire.

Un altro momento in cui la partecipazione è stata importante è stato l’accordo di programma, uno strumento che fa un po’ drizzare i capelli, nel senso che si va in deroga ad alcuni schemi, perché alla fine il pubblico va a contrattare col privato. Una situazione molto delicata perché il privato, avendo a che fare con un interesse collettivo, in genere alza il prezzo.
Ebbene, a Grottammare, in sede di bilancio partecipativo è stata votata la riqualificazione di una zona. Anche qui si è cercato di procedere in maniera inclusiva, nel senso che si sono svolte delle assemblee prima che il sindaco incontrasse il privato. La cittadinanza ha così elaborato un mandato, in cinque punti, a cui il il primo cittadino doveva attenersi, del tipo “in quell’area vogliamo case-alloggio per gli anziani, zona verde, parcheggio, ecc.”. Così il sindaco, il giorno clou della contrattazione col privato, è arrivato con le spalle coperte: aveva un mandato a cui attenersi: “Io non posso discostarmi da questi cinque punti”.
Il privato inizialmente non ha firmato, ma il sindaco è rimasto fermo: “Non posso e non voglio derogare al mandato. Non potrei tornare da quella gente”, e non se n’è fatto niente. Si è indetto il Consiglio comunale, ma un’ora prima il privato ha firmato l’accordo di programma. Aveva tentato un rialzo, ma gli è andata male. Ora stiamo provando a spostare la partecipazione anche alla progettazione dei singoli interventi, la riqualificazione di una piazza, la ristrutturazione di una chiesa, ecc. Anche qui sono state indette alcune assemblee con cittadini e progettista. Il prete, che sapeva di quest’intenzione di indire un’assemblea pubblica, ha addirittura offerto la chiesa. Un’assemblea stravagante, un momento significativo.

Partecipazione e inclusione sociale
In questi dieci anni, seguendo passo passo le richieste dei cittadini, avevo rilevato un’apparente anomalia: specie nel momento iniziale, la maggior parte provenivano soprattutto da due quartieri (Ischia I e Ischia II), che quasi monopolizzavano l’attenzione dell’amministrazione a scapito degli altri quartieri. Non essendo del posto ho avviato un’analisi sociologica.
Parlando con la gente, col sindaco dell’epoca, ho così scoperto che si trattava di due zone fortemente degradate, con un deficit di appartenenza, vittime di una pianificazione territoriale assolutamente scriteriata, punto di approdo di un’immigrazione interna ed esterna, che aveva portato a un’urbanizzazione selvaggia senza punti di aggregazione sociale, spazi verdi. Veri e propri quartieri dormitorio.
Non a caso le prime assemblee erano state letteralmente prese d’assalto dagli abitanti di questi quartieri che chiedevano all’amministrazione più attenzione e opere di sostegno alle fasce più deboli della società. Qui la partecipazione è stata proprio una scuola di cittadinanza, con comitati di quartiere attivissimi, in grado di stare nel processo in maniera fattiva, nonostante sia un percorso irto di difficoltà. Tutto questo ha messo in atto dinamiche di inclusione sociale molto forti, in un’ottica di redistribuzione delle risorse che dal centro ha investito la periferia. Tant’è che oggi queste zone hanno risolto molti dei loro problemi. Purtroppo, con il miglioramento delle condizioni, la partecipazione, ahimé, è scesa.
Ecco, questo è un altro ambito in cui forse vale la pena interrogarsi. La partecipazione è un processo che favorisce inclusione sociale perché promuove la redistribuzione delle risorse. Come far sì che il successo di questo processo non coincida con un ritiro della partecipazione?

Tipologia delle richieste
Ho parlato di tagli, ma non vorrei essere frainteso, legittimando argomenti che non condivido. A fronte di una serie di obiezioni che spesso mi facevano i sindaci e gli assessori che in questi anni ho incontrato -“Io non posso fare il bilancio partecipativo. Mi piacerebbe ma non posso far decidere le persone perché non ho i soldi”- devo dire che dalla mia indagine risulta che il 70% delle richieste dei cittadini sono a costo medio-basso.
C’è un altro dato rilevante: la partecipazione e le sue istanze in questi dieci anni si sono trasformate. Se prima le rivendicazioni erano legate soprattutto all’urbanistica, alla viabilità, all’arredo urbano, col passare del tempo c’è stata una sorta di “apprendimento sociale” che ha portato la cittadinanza a orientare le proprie richieste al campo della cultura, dei servizi sociali, a politiche di integrazione. E’ proprio cambiata la natura delle richieste.
Un’altra domanda che mi sono posto è quanto il bilancio partecipativo incida realmente nella vita della gente: quante richieste emerse nelle assemblee hanno visto la realizzazione? Qui la percentuale è del 90%. Questo significa che è un percorso importante sia per la base che per il vertice, se così possiamo dire, nel senso che non si è trattato di contentini elargiti in periodo elettorale.

Democrazia rappresentativa
e democrazia partecipativa
Fin qui ho parlato di bilancio partecipativo intendendo la presenza di elementi di democrazia diretta in un tessuto rappresentativo. Faccio questa precisazione per dire che il bilancio partecipativo si pone l’obiettivo di promuovere una pratica di democrazia dal basso, ma senza sostituirsi alla democrazia rappresentativa. Non è quindi propriamente un istituto di democrazia diretta, ma un mix di democrazia rappresentativa e di democrazia “partecipativa”.
Ciò dovrebbe favorire da una parte una maggior prossimità tra le scelte operate dall’amministrazione e i desideri dei cittadini, dall’altra una maggiore possibilità da parte dei settori deboli della società di rappresentare i propri interessi. Diciamo che è una sorta di lubrificante che serve a rendere più agevole e giusto (nel senso di più aderente alle esigenze della collettività) il processo tradizionale.
Inoltre, fondamentale è il fatto che l’emersione del problema porta con sé la sua assunzione nell’agenda del politico. Tante volte non decidere è già un esercizio di potere, è già una decisione. Questo il bilancio partecipativo non lo permette: alle assemblee civiche, l’immigrato, la casalinga, il pensionato, il precario, tutti i cittadini non affiliati a un partito, sono legittimati ad avanzare rivendicazioni, a sollevare problemi a cui il politico non può sottrarsi. Non è più il politico a decidere cos’è un problema e cosa non lo è. La partecipazione inoltre struttura alcune alternative al problema, pur senza intervenire in modo fattivo (quest’ambito resta ai tecnici).
L’ultimo rischio che vorrei menzionare è che a fronte di tante piccole amministrazioni che stanno compiendo percorsi importanti, bisogna anche dire che, in alcune realtà, dietro la formula del bilancio partecipativo si nasconde il niente. Di nuovo, il bilancio partecipativo non è la piccola assemblea convocata prima dell’approvazione di un bilancio che ha avuto un percorso lontano dai cittadini, che non hanno la possibilità di incidere realmente.
Vorrei fare un ultimo appunto. L’amministrazione spesso si trova a dover risolvere problemi che non necessariamente hanno a che fare col bilancio. Qui c’era il problema del “paese alto”. Il centro abitato di Grottammare ha due grandi agglomerati: il lido, noto anche come Perla dell’Adriatico, e il paese alto. Quest’ultimo è posto a circa 170 metri sul livello del mare e vi si accede attraverso ripide vie dalle quali si gode un magnifico panorama sul mare.
Ebbene il paese alto, un centro bellissimo, aveva un problema enorme di viabilità che creava gravi disagi. Anche qui sono state indette assemblee con tutte le famiglie (ci abitano 120 persone e la piccola dimensione ha aiutato) che hanno portato la cittadinanza a decidere di chiudere il paese alto con una sbarra telecomandata. Ma la cosa interessante è stata che la stessa cittadinanza, per la prima volta, si è offerta di pagare parte delle spese dell’intervento.
Questo è un passaggio che ci ha fatto riflettere: se questa decisione fosse venuta dall’alto, con un’ordinanza, io non so immaginare il risultato in termini di conflitto sociale...

lunedì 19 novembre 2007

Legge 8 Giugno 1990, n. 142

Ordinamento delle province e dei comuni

Legge 8 Giugno 1990, n. 142 e successive modificazioni

Ordinamento delle province e dei comuni

con le modifiche apportate dalla legge 3 agosto 1999 n. 265

Capo I - Princìpi generali

1. Oggetto della legge.

1. La presente legge detta i princìpi dell'ordinamento dei comuni e delle province e ne determina le funzioni.

2. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione.

3. Ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione, le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai princìpi della presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni

2. - (Autonomia dei comuni e delle province).

1. Le comunita' locali, ordinate in comuni e province, sono autonome.

2. Il comune e' l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo.

3. La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo.

4. I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa ed amministrativa, nonche' autonomia impositiva e finanziaria nell'ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica.

5. I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarieta'. I comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attivita' che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.*

*Artcolo sostituito dalla legge 3 agosto 1999

3. Rapporti tra regioni ed enti locali.

1. Ai sensi dell'articolo 117, primo e secondo comma, e dell'articolo 118, primo comma, della Costituzione, ferme restando le funzioni che attengano ad esigenze di carattere unitario nei rispettivi territori, le regioni organizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province.

2. Ai fini di cui al comma 1, le leggi regionali si conformano ai princìpi stabiliti dalla presente legge in ordine alle funzioni del comune e della provincia, identificando nelle materie e nei casi previsti dall'articolo 117 della Costituzione gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio.

3. La legge regionale indica i princìpi della cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con la regione, al fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico, sociale e civile.

4. La regione indica gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale e su questa base ripartisce le risorse destinate al finanziamento del programma di investimenti degli enti locali.

5. Comuni e province concorrono alla determinazione degli obiettivi contenuti nei piani e programmi dello Stato e delle regioni e provvedono, per quanto di propria competenza, alla loro specificazione ed attuazione.

6. La legge regionale stabilisce forme e modi della partecipazione degli enti locali alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione.

7. La legge regionale indica i criteri e fissa le procedure per gli atti e gli strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei comuni e delle province rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali.

8. La legge regionale disciplina altresì, con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica della compatibilità fra gli strumenti di cui al comma 7 e i programmi regionali, ove esistenti.



Capo II - Autonomia statutaria e potestà regolamentare

4. Statuti comunali e provinciali.

1. I comuni e le province adottano il proprio statuto.

2. Lo statuto, nell'ambito dei principi fissati dalla legge, stabilisce le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente, e in particolare specifica le attribuzioni degli organi, le forme digaranzia e di partecipazione delle minoranze, prevedendo l'attribuzione alle opposizioni della presidenza delle commissioni consiliari aventi funzioni di controllo o di garanzia, ove costituite. Lo statuto stabilisce altresi' l'ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi. ( comma così sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

2-bis. La legislazione in materia di ordinamento dei comuni e delle province e di disciplina dell'esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province. L'entrata in vigore di nuove leggi che enunciano tali principi abroga le norme statutarie con essi incompatibili. I consigli comunali e provinciali adeguano gli statuti entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore delle leggi suddette *.

*(comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

3. Gli statuti sono deliberati dai rispettivi consigli con il voto favorevole dei due terzi dei consiglieri assegnati. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in successive sedute da tenersi entro trenta giorni e lo statuto è approvato se ottiene per due volte il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle modifiche statutarie.

4. Dopo l'espletamento del controllo da parte del competente organo regionale, lo statuto è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione, affisso all'albo pretorio dell'ente per trenta giorni consecutivi ed inviato al Ministero dell'interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli statuti. Lo statuto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla sua affissione all'albo pretorio dell'ente

(comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

5. Regolamenti.

1. Nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti per l'organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l'esercizio delle funzioni.( come modificato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

Capo III - Istituti di partecipazione

6. Partecipazione popolare.

I comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme associative con il comune sono disciplinati dallo statuto.

2. Nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalita' stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n.241.

3. Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonche' procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresi' determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere altresi' previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini.

4. Le consultazioni e i referendum di cui al presente articolo devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali*

*Artcolo sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265

7. Azione popolare, diritti d'accesso e di informazione dei cittadini.

1. Ciascun elettore può far valere, in giudizio, le azioni ed i ricorsi che spettano al comune.( comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

2. Il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti del comune. In caso di soccombenza, le spese sono a carico di chi ha promosso l'azione o il ricorso. Salvo che il comune costituendosi abbia aderito alle azioni e ai ricorsi promossi dall'elettore ( comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

3. Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese.

4. Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione.

5. Al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all'attività dell'amministrazione, gli enti locali assicurano l'accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni.

8. Difensore civico.

1. Lo statuto provinciale e quello comunale possono prevedere l'istituto del difensore civico, il quale svolge un ruolo di garante dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell'amministrazione nei confronti dei cittadini.

2. Lo statuto disciplina l'elezione, le prerogative ed i mezzi del difensore civico nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale (l'art. 16, L. 15 maggio 1997, n. 127).

Capo IV - Il comune

9. Funzioni.

1. Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardino la popolazione ed il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

2. Il comune, per l'esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.

10. Compiti del comune per servizi di competenza statale. -

1. Il comune gestisce i servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare.

2. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo.

3. Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le risorse necessarie.

11. Modifiche territoriali, fusione ed istituzione di comuni.

1. A norma degli articoli 117 e 133 della Costituzione, le regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale. Salvo i casi di fusione tra più comuni, non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri comuni scendano sotto tale limite .

2. Le regioni predispongono, concordandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni, che puo' prevedere altresi' la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Il programma e' aggiornato ogni tre anni, tenendo anche conto delle unioni costituite ai sensi dell'articolo 26*

Comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n.265

3. La legge regionale che istituisce nuovi comuni, mediante fusione di due o più comuni contigui, prevede che alle comunità di origine o ad alcune di esse siano assicurate adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi.

4. Al fine di favorire la fusione dei comuni , oltre ai contributi della regione, lo Stato eroga, per i dieci anni successivi alla fusione stessa, appositi contributi straordinari commisurati ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono.

Comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n.265

5. Comma abrogato dalla legge 3 agosto 1999 n.265



12. Municipi.

1. Lo statuto comunale puo' prevedere l'istituzione di municipi nei territori delle comunita' di cui all'articolo 11, comma 3.

2. Lo statuto e il regolamento disciplinano l'organizzazione e le funzioni dei municipi, potendo prevedere anche organi eletti a suffragio universale diretto. Si applicano agli amministratori dei municipi le norme previste per gli amministratori dei comuni con pari popolazione (Articolo sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n.265)

13. Circoscrizioni di decentramento comunale.

1. I comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti articolano il loro territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, quali organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune .

2. L'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo statuto comunale e da apposito regolamento.

3. I comuni con popolazione tra i 30.000 ed i 100.000 abitanti possono articolare il territorio comunale per istituire le circoscrizioni di decentramento secondo quanto previsto dal comma 2.

4. Gli organi delle circoscrizioni rappresentano le esigenze della popolazione delle circoscrizioni nell'ambito dell'unita' del comune e sono eletti nelle forme stabilite dallo statuto e dal regolamento( comma sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

5. Nei comuni con popolazione superiore a trecentomila abitanti, lo statuto puo' prevedere particolari e piu' accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, determinando altresi', anche con il rinvio alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione, gli organi di tali forme di decentramento, lo status dei componenti e le relative modalita' di elezione, nomina o designazione. Il consiglio comunale puo' deliberare, a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, la revisione della delimitazione territoriale delle circoscrizioni esistenti e la conseguente istituzione delle nuove forme di autonomia ai sensi della normativa statutaria ( comma sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

6. E' abrogata la legge 8 aprile 1976, n. 278, e successive modifiche e integrazioni.

Capo V - La provincia

14. Funzioni.

1. Spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori:

a) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità;

b) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;

c) valorizzazione dei beni culturali;

d) viabilità e trasporti;

e) protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali;

f) caccia e pesca nelle acque interne;

g) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;

h) servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

i) compiti connessi alla istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;

l) raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali.

2. La provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi da essa proposti, promuove e coordina attività nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo.

3. La gestione di tali attività ed opere avviene attraverso le forme previste dalla presente legge per la gestione dei servizi pubblici.

15. Compiti di programmazione.

1. La provincia:

a) raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica, territoriale ed ambientale della regione;

b) concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;

c) formula e adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove il coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.

2. La provincia, inoltre, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che, ferme restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, determina indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, indica:

a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;

b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;

c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;

d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.

3. I programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regione ai fini di accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socioeconomica e territoriale.

4. La legge regionale detta le procedure di approvazione nonché norme che assicurino il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.

5. Ai fini del coordinamento e dell'approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti dai comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla regione ed ha, in ogni caso, il compito di accertare la compatibilità di detti strumenti con le previsioni del piano territoriale di coordinamento.

6. Gli enti e le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai piani territoriali di coordinamento delle province e tengono conto dei loro programmi pluriennali.

16. Circondari e revisione delle circoscrizioni provinciali.

1. La provincia, in relazione all'ampiezza e peculiarità del territorio, alle esigenze della popolazione ed alla funzionalità dei servizi, può disciplinare nello statuto la suddivisione del proprio territorio in circondari e sulla base di essi organizzare gli uffici, i servizi e la partecipazione dei cittadini.

1-bis. Nel rispetto della disciplina regionale, in materia di circondario, lo statuto della provincia puo' demandare ad un apposito regolamento l'istituzione dell'assemblea dei sindaci del circondario, con funzioni consultive, propositive e di coordinamento, e la previsione della nomina di un presidente del circondario indicato a maggioranza assoluta dall'assemblea dei sindaci e componente del consiglio comunale di uno dei comuni appartenenti al circondario. Il presidente ha funzioni di rappresentanza, promozione e coordinamento. Al Presidente del circondario si applicano le disposizioni relative allo status del presidente del consiglio di comune con popolazione pari a quella ricompresa nel circondario ( comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

2. Per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province i comuni esercitano l'iniziativa di cui all'articolo 133 della Costituzione, tenendo conto dei seguenti criteri ed indirizzi:

a) ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente;

b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale;

c) l'intero territorio di ogni comune deve far parte di una sola provincia;

d) l'iniziativa dei comuni, di cui all'articolo 133 della Costituzione, deve conseguire l'adesione della maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino, comunque, la maggioranza della popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati;

e) di norma, la popolazione delle province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere inferiore a 200.000 abitanti;

f) l'istituzione di nuove province non comporta necessariamente l'istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici;

g) le province preesistenti debbono garantire alle nuove, in proporzione al territorio ed alla popolazione trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguati.

3. Ai sensi del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione le regioni emanano norme intese a promuovere e coordinare l'iniziativa dei comuni di cui alla lettera d) del comma 2.

Capo VI - Aree metropolitane

17. Aree metropolitane.

1. Sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.

2. La regione può procedere alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana, sentiti i comuni e le province interessate, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge

3. Quando l'area metropolitana non coincide con il territorio di una provincia si procede alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali o all'istituzione di nuove province ai sensi dell'articolo 16 considerando l'area metropolitana come territorio di una nuova provincia.

4. Nell'area metropolitana la provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà statutaria ed assume la denominazione di "città metropolitana".

5. In attuazione dell'articolo 43 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (statuto speciale per la Sardegna), la regione Sardegna può con legge dare attuazione a quanto previsto nel presente articolo delimitando l'area metropolitana di Cagliari.

18. Città metropolitana.

1. Nell'area metropolitana, l'amministrazione locale si articola in due livelli:

a) città metropolitana;

b) comuni.

2. Alla città metropolitana si applicano le norme relative alle province, in quanto compatibili, comprese quelle elettorali fino alla emanazione di nuove norme.

3. Sono organi della città metropolitana: il consiglio metropolitano, la giunta metropolitana ed il sindaco metropolitano.

4. Il sindaco presiede il consiglio e la giunta

19. Funzioni della città metropolitana e dei comuni.

1. La legge regionale, nel ripartire fra i comuni e la città metropolitana le funzioni amministrative, attribuisce alla città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana, nell'ambito delle seguenti materie:

a) pianificazione territoriale dell'area metropolitana;

b) viabilità, traffico e trasporti;

c) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente;

d) difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti;

e) raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche;

f) servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale;

g) servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano.

2. Alla città metropolitana competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi ad essa attribuiti.

3. Ai comuni dell'area metropolitana restano le funzioni non attribuite espressamente alla città metropolitana.

20. Riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell'area metropolitana.

1. Entro diciotto mesi dalla delimitazione dell'area metropolitana, la regione, sentiti i comuni interessati, provvede al riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell'area metropolitana.

2. A tal fine la regione provvede anche alla istituzione di nuovi comuni per scorporo da aree di intensa urbanizzazione o per fusione di comuni contigui, in rapporto al loro grado di autonomia, di organizzazione e di funzionalità, così da assicurare il pieno esercizio delle funzioni comunali, la razionale utilizzazione dei servizi, la responsabile partecipazione dei cittadini nonché un equilibrato rapporto fra dimensioni territoriali e demografiche.

3. I nuovi comuni, enucleati dal comune che comprende il centro storico, conservano l'originaria denominazione alla quale aggiungono quella più caratteristica dei quartieri o delle circoscrizioni che li compongono.

4. Ai nuovi comuni sono trasferiti dal comune preesistente, in proporzione agli abitanti ed al territorio, risorse e personale nonché adeguati beni strumentali immobili e mobili.

21. Delega al Governo.

1. Il Governo è delegato ad emanare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, appositi decreti legislativi per la costituzione, su proposta delle rispettive regioni, delle autorità metropolitane nelle aree di cui all'articolo 17 .

2. I decreti, tenendo conto della specificità delle singole aree, si conformeranno ai criteri di cui ai precedenti articoli.

3 abrogato

4. Qualora la regione non provvede agli adempimenti di cui all'articolo 20, il Governo con deliberazione del Consiglio dei ministri invita la regione ad adempiere. Trascorsi inutilmente sei mesi, il Governo è delegato a provvedere con decreti legislativi, osservando i criteri di cui all'articolo 20, sentiti i comuni interessati e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari.

Capo VII - Servizi

22. Servizi pubblici locali.

1. I comuni e le province, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.

2. I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge.

3. I comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

a) in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno costituire una istituzione o una azienda;

b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale;

d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;

e) a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati ( Lettera così sostituita dall'art. 17, comma 58, L. 15 maggio 1997, n. 127).

23. Aziende speciali ed istituzioni.

1. L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.

2. L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale.

3. Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell'ente locale.

4. L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti.

5. Nell'ambito della legge, l'ordinamento ed il funzionamento delle aziende speciali sono disciplinati dal proprio statuto e dai regolamenti; quelli delle istituzioni sono disciplinati dallo statuto e dai regolamenti dell'ente locale da cui dipendono.

6. L'ente locale conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli eventuali costi sociali.

7. Il collegio dei revisori dei conti dell'ente locale esercita le sue funzioni anche nei confronti delle istituzioni. Lo statuto dell'azienda speciale prevede un apposito organo di revisione nonché forme autonome di verifica della gestione.

Capo VIII

Forme associative e di cooperazione. Accordi di programma

24. Convenzioni.

1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, i comuni e le province possono stipulare tra loro apposite convenzioni.

2. Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie.

3. Per la gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un'opera lo Stato e la regione, nelle materie di propria competenza, possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra i comuni e le province, previa statuizione di un disciplinare-tipo.

3-bis. Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all'accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti ( comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

25. Consorzi.

1. I comuni e le province, per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all'articolo 23, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, ivi comprese le comunità montane, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti .

2. A tal fine i rispettivi consigli approvano a maggioranza assoluta dei componenti una convenzione ai sensi dell'articolo 24, unitamente allo statuto del consorzio.

3. In particolare la convenzione deve disciplinare le nomine e le competenze degli organi consortili coerentemente a quanto disposto dai commi 5, 5-bis e 5-ter dell'articolo 36, e dalla lettera n) del comma 2 dell'articolo 32, e prevedere la trasmissione, agli enti aderenti, degli atti fondamentali del consorzio; lo statuto deve disciplinare l'organizzazione, la nomina e le funzioni degli organi consortili .

4. Salvo quanto previsto dalla convenzione e dallo statuto per i consorzi, ai quali partecipano a mezzo dei rispettivi rappresentanti legali anche enti diversi da comuni e province, l'assemblea del consorzio è composta dai rappresentanti degli enti associati nella persona del sindaco, del presidente o di un loro delegato, ciascuno con responsabilità pari alla quota di partecipazione fissata dalla convenzione e dallo statuto .

5. L'assemblea elegge il consiglio di amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti dallo statuto.

6. Tra gli stessi comuni e province non può essere costituito più di un consorzio.

7. In caso di rilevante interesse pubblico, la legge dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l'esercizio di determinate funzioni e servizi. La stessa legge ne demanda l'attuazione alle leggi regionali.

7-bis. Ai consorzi che gestiscono attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale, ai consorzi creati per la gestione dei servizi sociali se previsto nello statuto, si applicano, per quanto attiene alla finanza, alla contabilità ed al regime fiscale, le norme previste per le aziende speciali. Agli altri consorzi si applicano le norme dettate per gli enti locali .

26. Unioni di comuni.

1. Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o piu' comuni di norma contermini, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralita' di funzioni di loro competenza.

2. L'atto costitutivo e lo statuto dell'unione sono approvati dai consigli dei comuni partecipanti con le procedure e la maggioranza richieste per le modifiche statutarie. Lo statuto individua gli organi dell'unione e le modalita' per la loro costituzione e individua altresi' le funzioni svolte dall'unione e le corrispondenti risorse.

3. Lo statuto deve comunque prevedere il presidente dell'unione scelto tra i sindaci dei comuni interessati e deve prevedere che altri organi siano formati da componenti delle giunte e dei consigli dei comuni associati, garantendo la rappresentanza delle minoranze.( Articolo sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

Art. 26-bis (Esercizio associato delle funzioni).

1. Al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, nell'ambito del programma territoriale di cui all'articolo 11, comma 2, le forme di incentivazione dell'esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, con l'eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo. A tale fine, oltre a quanto stabilito dagli articoli 11, 24 e 26, le regioni si attengono ai seguenti principi fondamentali:

a) nella disciplina delle incentivazioni:

1) favoriscono il massimo grado di integrazione tra i comuni, graduando la corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati o trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima integrazione;

2) prevedono in ogni caso una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di fusione e di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale;

b) promuovono le unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori benefici da corrispondere alle unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei consigli comunali interessati, di procedere alla fusione".

7. L'adozione delle leggi regionali di cui all'articolo 26-bis della legge 8 giugno 1990, n.142, introdotto dal comma 6 del presente articolo, avviene entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Trascorso inutilmente tale termine, il Governo,entro i successivi sessanta giorni, sentite le regioni inadempienti e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, provvede a dettare la relativa disciplina nel rispetto dei principi enunciati nel citato articolo 26-bis della legge 8 giugno 1990, n.142. Tale disciplina si applica fino alla data di entrata in vigore della legge regionale.

8. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, adotta, con proprio decreto, i criteri per l'utilizzo delle risorse di cui all'articolo 31, comma 12, della legge 23 dicembre 1998, n.448.( Articolo aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

27. Accordi di programma.

1. Per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalenti sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.

2. L'accordo può prevedere altresì procedimenti di arbitrato, nonché interventi surrogatori di eventuali inadempienze dei soggetti partecipanti.

3. Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate.

4. L'accordo, consistente nel consenso unanime del presidente della regione, del presidente della provincia, dei sindaci e delle altre amministrazioni interessate, è approvato con atto formale del presidente della regione o del presidente della provincia o del sindaco ed è pubblicato nel bollettino ufficiale della regione. L'accordo, qualora adottato con decreto del presidente della regione, produce gli effetti della intesa di cui all'articolo 81, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (3), determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie, sempre che vi sia l'assenso del comune interessato (Comma così modificato dall'art. 17, comma 9, L. 15 maggio 1997, n. 127).

5. Ove l'accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza.

5-bis. Per l'approvazione di progetti di opere pubbliche comprese nei programmi dell'amministrazione e per le quali siano immediatamente utilizzabili i relativi finanziamenti si procede a norma dei precedenti commi. L'approvazione dell'accordo di programma comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle medesime opere; tale dichiarazione cessa di avere efficacia se le opere non hanno avuto inizio entro tre anni (Comma aggiunto dall'art. 17, comma 8, L. 15 maggio 1997, n. 127).

6. La vigilanza sull'esecuzione dell'accordo di programma e gli eventuali interventi sostitutivi sono svolti da un collegio presieduto dal presidente della regione o dal presidente della provincia o dal sindaco e composto da rappresentanti degli enti locali interessati, nonché dal commissario del Governo nella regione o dal prefetto nella provincia interessata se all'accordo partecipano amministrazioni statali o enti pubblici nazionali.

7. Allorché l'intervento o il programma di intervento comporti il concorso di due o più regioni finitime, la conclusione dell'accordo di programma è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui spetta convocare la conferenza di cui al comma 3. Il collegio di vigilanza di cui al comma 6 è in tal caso presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composto dai rappresentanti di tutte le regioni che hanno partecipato all'accordo. La Presidenza del Consiglio dei ministri esercita le funzioni attribuite dal comma 6 al commissario del Governo ed al prefetto.

8. La disciplina di cui al presente articolo si applica a tutti gli accordi di programma previsti da leggi vigenti relativi ad opere, interventi o programmi di intervento di competenza delle regioni, delle province o dei comuni, salvo i casi in cui i relativi procedimenti siano già formalmente iniziati alla data di entrata in vigore della presente legge.

Restano salve le competenze di cui all'art. 7, L. 1° marzo 1986, n. 64 .

Capo IX - Comunità montane

28. Comunità montane.

1. Le comunita' montane sono unioni montane, enti locali costituiti fra comuni montani e parzialmente montani, anche appartenenti a province diverse, per la valorizzazione delle zone montane per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni delegate e per l'esercizio associato delle funzioni comunali.

2. La comunita' montana ha un organo rappresentativo e un organo esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti. Il presidente puo' cumulare la carica con quella di sindaco di uno dei comuni della comunita'. I rappresentanti dei comuni della comunita' montana sono eletti dai consigli dei comuni partecipanti con il sistema del voto limitato.

3. La regione individua, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, gli ambiti o le zone omogenee per la costituzione delle comunita' montane, in modo da consentire gli interventi per la valorizzazione della montagna e l'esercizio associato delle funzioni comunali. La costituzione della comunita' montana avviene con provvedimento del presidente della giunta regionale.

4. La legge regionale disciplina le comunita' montane stabilendo:

a) le modalita' di approvazione dello statuto;

b) le procedure di concertazione;

c) la disciplina dei piani zonali e dei programmi annuali;

d) i criteri di ripartizione tra le comunita' montane dei finanziamenti regionali e di quelli dell'Unione europea;

e) i rapporti con gli altri enti operanti nel territorio.

5. La legge regionale puo' escludere dalla comunita' montana i comuni parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15 per cento della popolazione complessiva, restando sempre esclusi i capoluoghi di provincia e i comuni con popolazione complessiva superiore a 40.000 abitanti. L'esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefici e degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall'Unione europea e dalle leggi statali e regionali. La legge regionale puo' prevedere, altresi, per un piu' efficace esercizio delle funzioni e dei servizi svolti in forma associata, l'inclusione dei comuni confinanti, con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte integrante del sistema geografico e socio-economico della comunita'.

6. Al comune montano nato dalla fusione dei comuni il cui territorio coincide con quello di una comunita' montana sono assegnate le funzioni e le risorse attribuite alla stessa in base a norme comunitarie, nazionali e regionali. Tale disciplina si applica anche nel caso in cui il comune sorto dalla fusione comprenda comuni non montani. Con la legge regionale istitutiva del nuovo comune si provvede allo scioglimento della comunita' montana.

7. Le disposizioni di cui al comma 6 possono essere applicate dalle regioni, d'intesa con i comuni interessati, anche all'unione di comuni il cui territorio coincide con quello di una comunita' montana.

8. Ai fini della graduazione e differenziazione degli interventi di competenza delle regioni e delle comunita' montane, le regioni, con propria legge, possono provvedere ad individuare nell'ambito territoriale delle singole comunita' montane fasce altimetriche di territorio, tenendo conto dell'andamento orografico, del clima, della vegetazione, delle difficolta' nell'utilizzazione agricola del suolo, della fragilita' ecologica, dei rischi ambientali e della realta' socio- economica.

9. Ove in luogo di una preesistente comunita' montana vengano costituite piu' comunita' montane, ai nuovi enti spettano nel complesso i trasferimenti erariali attribuiti all'ente originario, ripartiti in attuazione dei criteri stabiliti dall'articolo 36 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.504, e successive modificazioni

.( Articolo sostituito dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge( 265/99) le regioni dispongono, ove occorra o su proposta dei comuni interessati, il riordino territoriale delle comunita' montane, verificando l'adeguatezza della dimensione delle comunita' montane esistenti, anche rispetto all'attuazione dell'articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, nonche' l'adeguamento degli statuti alle nuove norme sulla composizione degli organi.

Sono abrogati l'articolo 4 della legge 3 dicembre 1971, n.1102, e il comma 8 dell'articolo 29 della legge 8 giugno 1990, n.142. In sede di prima applicazione, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni adeguano, ove occorra, le proprie rappresentanze nelle comunita' montane ai sensi del comma 2 dell'articolo 28 della legge 8 giugno 1990, n.142, come sostituito dal comma 1 del presente articolo. In caso di mancato adeguamento nei termini indicati, l'organo rappresentativo e validamente costituiti dai soli rappresentanti dei comuni aventi titolo ai sensi del medesimo comma 2.

29. Funzioni.

1. Spettano alle comunità montane le funzioni attribuite dalla legge e gli interventi speciali per la montagna stabiliti dalla Comunità economica europea o dalle leggi statali e regionali.

2. L'esercizio associato di funzioni proprie dei comuni o a questi delegate dalla regione spetta alle comunità montane. Spetta altresì alle comunità montane l'esercizio di ogni altra funzione ad esse delegata dai comuni, dalla provincia e dalla regione.

3. Le comunità montane adottano piani pluriennali di opere ed interventi e individuano gli strumenti idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio-economico, ivi compresi quelli previsti dalla Comunità economica europea, dallo Stato e dalla regione, che possono concorrere alla realizzazione dei programmi annuali operativi di esecuzione del piano.

4. Le comunità montane, attraverso le indicazioni urbanistiche del piano pluriennale di sviluppo, concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento.

5. Il piano pluriennale di sviluppo socio-economico ed i suoi aggiornamenti sono adottati dalle comunità montane ed approvati dalla provincia secondo le procedure previste dalla legge regionale.

6. Le regioni provvedono, mediante gli stanziamenti di cui all'articolo 1 della legge 23 marzo 1981, n. 93, a finanziare i programmi annuali operativi delle comunità montane, sulla base del riparto di cui al numero 3) del quarto comma dell'articolo 4 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, ed all'articolo 2 della citata legge n. 93 del 1981.

7. Sono abrogati:

a) l'articolo 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991, come sostituito dall'articolo unico della legge 30 luglio 1957, n. 657, ed il secondo comma dell'articolo 14 della citata legge n. 991 del 1952;

b) gli articoli 3, 5 e 7 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102 .

8. La comunità montana può essere trasformata in unione di comuni, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 26, anche in deroga ai limiti di popolazione.

Capo X - Organi del comune e della provincia

30. Organi.

1. Sono organi del comune il consiglio, la giunta, il sindaco.

2. Sono organi della provincia il consiglio, la giunta, il presidente.

31. Consigli comunali e provinciali.

1. L'elezione dei consigli comunali e provinciali, la loro durata in carica, il numero dei consiglieri e la loro posizione giuridica sono regolati dalla legge.Il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto, e' disciplinato dal regolamento, approvato a maggioranza assoluta, che prevede, in particolare, le modalita' per la convocazione e per la presentazione e la discussione delle proposte. Il regolamento indica altresi' il numero dei consiglieri necessario per la validita' delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all'ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia ( comma modificato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

1-bis. I consigli sono dotati di autonomia funzionale ed organizzativa. Con norme regolamentari i comuni e le province fissano le modalita' attraverso le quali. fornire ai consigli servizi, attrezzature e risorse finanziarie, potendo altresi' prevedere, per i comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti e per le province, strutture apposite per il funzionamento dei consigli. Con il regolamento di cui al comma 1 i consigli disciplinano la gestione di tutte le risorse attribuite per il proprio funzionamento e per quello dei gruppi consiliari regolarmente costituiti ( comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

2. I consiglieri entrano in carica all'atto della proclamazione ovvero, in caso di surrogazione, non appena adottata dal consiglio la relativa deliberazione.

2-bis. Le dimissioni dalla carica di consigliere, indirizzate al rispettivo consiglio, devono essere assunte immediatamente al protocollo dell'ente nell'ordine temporale di presentazione. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e sono immediatamente efficaci. Il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, con separate deliberazioni, seguendo l'ordine di presentazione delle dimissioni quale risulta dal protocollo. Non si fa luogo alla surroga qualora, ricorrendone i presupposti, si debba procedere allo scioglimento del consiglio a norma dell'articolo 39, comma 1, lettera b), numero 2), della presente legge (così sostituito dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127).

3. I consigli durano in carica sino all'elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti ed improrogabili.

4. Quando lo statuto lo preveda, il consiglio si avvale di commissioni costituite nel proprio seno con criterio proporzionale. Il regolamento determina i poteri delle commissioni e ne disciplina l'organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori.

5. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.

6. I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio. Hanno inoltre il diritto di presentare interrogazioni e mozioni.

6-bis. Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative( comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

7. Il presidente del consiglio comunale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore a venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste .

7-bis. Nei casi in cui il consiglio è presieduto dal sindaco o dal presidente della provincia, questi ultimi provvedono alla convocazione del consiglio ai sensi del comma 7 .

7-ter. Il presidente del consiglio comunale o provinciale assicura una adeguata e preventiva informazione ai gruppi consiliari e ai singoli consiglieri sulle questioni sottoposte al consiglio( comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

8. Le sedute del consiglio e delle commissioni sono pubbliche, salvi i casi previsti dal regolamento.

32. Competenze dei consigli.

1. Il consiglio è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo.

2. Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali:

a) gli statuti dell'ente e delle aziende speciali, i regolamenti, l'ordinamento degli uffici e dei servizi;

b) i programmi, le relazioni previsionali e programmatiche, i piani finanziari, i programmi ed i progetti preliminari di opere pubbliche, i bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, i conti consuntivi, i piani territoriali e urbanistici, i piani particolareggiati ed i piani di recupero, i programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi, i pareri da rendere nelle dette materie (Lettera così modificata dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127);

c) [la disciplina dello stato giuridico e delle assunzioni del personale; le piante organiche e le relative variazioni] lettera abrogata dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127) ;

d) le convenzioni tra i comuni e quelle tra comuni e provincia, la costituzione e la modificazione di forme associative;

e) l'istituzione, i compiti e le norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione;

f) l'assunzione diretta dei pubblici servizi, la costituzione di istituzioni e di aziende speciali, la concessione dei pubblici servizi, la partecipazione dell'ente locale a società di capitali, l'affidamento di attività o servizi mediante convenzione;

g) l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi;

h) gli indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza;

i) la contrazione dei mutui non previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio comunale e la emissione dei prestiti obbligazionari ;

l) le spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo;

m) gli acquisti e le alienazioni immobiliari, le relative permute, gli appalti e le concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari;

n) la definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni, nonché la nomina dei rappresentanti del consiglio presso enti, aziende ed istituzioni ad esso espressamente riservata dalla legge .

3. Le deliberazioni in ordine agli argomenti di cui al presente articolo non possono essere adottate in via d'urgenza da altri organi del comune o della provincia, salvo quelle attinenti alle variazioni di bilancio da sottoporre a ratifica del consiglio nei sessanta giorni successivi, a pena di decadenza.

33. Composizione delle giunte.

1.La giunta comunale e la giunta provinciale sono composte rispettivamente dal sindaco e dal presidente della provincia, che la presiedono, e da un numero di assessori, stabilito dagli statuti, che non deve essere superiore ad un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali, computando a tale fine il sindaco e il presidente della provincia, e comunque non superiore a sedici unita' (il presente comma sostituisce i vecchi 1 e 2 come disposto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

3. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati dal sindaco o dal presidente della provincia, anche al di fuori dei componenti del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di consigliere.

4. Nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti lo statuto può prevedere la nomina ad assessore di cittadini non facenti parte del consiglio, in possesso dei requisiti di compatibilità e di eleggibilità alla carica di consigliere .

Fino all'adozione delle nuove norme statutarie di cui all'articolo 33, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n.142, nel testo modificato dal comma 7 del presente articolo, le giunte comunali e provinciali sono composte da un numero di assessori stabilito rispettivamente nelle seguenti misure:

a) non superiore a 4 nei comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti; non superiore a 6 nei comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 100.000 abitanti; non superiore a 10 nei comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 250.000 abitanti e nei capoluoghi di provincia con popolazione inferiore a 100.000 abitanti; non superiore a 12 nei comuni con popolazione compresa tra 250.001 e 500.000 abitanti; non superiore a 14 nei comuni con popolazione compresa tra 500.001 e 1.000.000 di abitanti e non superiore a 16 nei comuni con popolazione superiore a 1.000.000 di abitanti;

b) non superiore a 6 per le province a cui sono assegnati 24 consiglieri; non superiore a 8 per le province a cui sono assegnati 30 consiglieri; non superiore a 10 per le province a cui sono assegnati 36 consiglieri; non superiore a 12 per quelle a cui sono assegnati 45 consiglieri ( art 11 legge 3 agosto 1999 n. 265)

34. Elezione del sindaco e del presidente della provincia - Nomina della giunta.

1. Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti dai cittadini a suffragio universale e diretto secondo le disposizioni dettate dalla legge e sono membri dei rispettivi consigli.

2. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione.

2-bis. Entro il termine fissato dallo statuto, il sindaco o il presidente della provincia, sentita la giunta, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato. Lo statuto disciplina altresi' i modi della partecipazione del consiglio alla definizione, all'adeguamento e alla verifica periodica dell'attuazione delle linee programmatiche da parte del sindaco o del presidente della provincia e dei singoli assessori comma aggiunto dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

3. comma abrogato dalla legge 3 agosto 1999 n. 265)

4. Il sindaco può revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio

35. Competenze delle giunte.

1. La giunta collabora con il sindaco o con il presidente della provincia nell'amministrazione del comune o della provincia ed opera attraverso deliberazioni collegiali.

2. La giunta compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti, collabora con il sindaco e con il presidente della provincia nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio, riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso .

2-bis. E', altresì, di competenza della giunta l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio (Comma aggiunto dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127).

36. Competenze del sindaco e del presidente della provincia.

01. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia .

1. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l'ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti .

2. Essi esercitano le funzioni loro attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti e sovrintendono altresì all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate al comune e alla provincia.

3. Il sindaco è inoltre competente, nell'ambito della disciplina regionale e sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale, a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti.

4. In caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto.

5. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni .

5-bis. Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'articolo 48 .

5-ter. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dall'articolo 51 della presente legge, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provinciali.

6. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana .

7. Distintivo del sindaco è la fascia tricolore con lo stemma della Repubblica e lo stemma del comune, da portarsi a tracolla della spalla destra (Comma così sostituito dall'art. 4, L. 15 maggio 1997, n. 127,).

37. Mozione di sfiducia.

1. Il voto del consiglio comunale o del consiglio provinciale contrario ad una proposta del sindaco, del presidente della provincia o delle rispettive giunte non comporta le dimissioni degli stessi.

2. Il sindaco, il presidente della provincia e le rispettive giunte cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia votata per appello nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti il consiglio. La mozione di sfiducia deve essere motivata e sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri assegnati e viene messa in discussione non prima di dieci giorni e non oltre trenta giorni dalla sua presentazione. Se la mozione viene approvata, si procede allo scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario ai sensi delle leggi vigenti .

37-bis. Dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione o decesso del sindaco o del presidente della provincia.

1. In caso di dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della provincia, la giunta decade e si procede allo scioglimento del consiglio. Il consiglio e la giunta rimangono in carica sino alla elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco o presidente della provincia. Sino alle predette elezioni, le funzioni del sindaco e del presidente della provincia sono svolte, rispettivamente, dal vicesindaco e dal vicepresidente.

2. Il vicesindaco ed il vicepresidente sostituiscono il sindaco e il presidente della provincia in caso di assenza o di impedimento temporaneo, nonché nel caso di sospensione dall'esercizio della funzione adottata ai sensi dell'articolo 15, comma 4-bis, della L. 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 18 gennaio 1992, n. 16.

3. Le dimissioni presentate dal sindaco o dal presidente della provincia diventano irrevocabili e producono gli effetti di cui al comma 1 trascorso il termine di venti giorni dalla loro presentazione al consiglio.

4. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale determina in ogni caso la decadenza del sindaco o del presidente della provincia nonché delle rispettive giunte .

38. Attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale.

1. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovraintende:

a) alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica;

b) alla emanazione degli atti che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti in materia di ordine e di sicurezza pubblica, di sanità e di igiene pubblica;

c) allo svolgimento, in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidategli dalla legge;

d) alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto.

2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica.

3. Se l'ordinanza adottata ai sensi del comma 2 è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all'ordine impartito, il sindaco può provvedere d'ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell'azione penale per i reati in cui fossero incorsi.

4. Chi sostituisce il sindaco esercita anche le funzioni di cui al presente articolo.

5. Nell'ambito dei servizi di cui al presente articolo, il prefetto può disporre ispezioni per accertare il regolare funzionamento dei servizi stessi nonché per l'acquisizione di dati e notizie interessanti altri servizi di carattere generale.

6. Nelle materie previste dalle lettere a), b), c) e d) del comma 1, nonché dall'articolo 10, il sindaco, previa comunicazione al prefetto, può delegare l'esercizio delle funzioni ivi indicate al presidente del consiglio circoscrizionale; ove non siano costituiti gli organi di decentramento comunale, il sindaco può conferire la delega ad un consigliere comunale per l'esercizio delle funzioni nei quartieri e nelle frazioni.

7. Ove il sindaco o chi ne esercita le funzioni non adempia ai compiti di cui al presente articolo, il prefetto può nominare un commissario per l'adempimento delle funzioni stesse.

8. Alle spese per il commissario provvede l'ente interessato.

9. Ove il sindaco non adotti i provvedimenti di cui al comma 2, il prefetto provvede con propria ordinanza.

Capo XI - Controllo sugli organi

39. Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali.

1. I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno:

a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;

b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:

1) dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell'ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia (Così sostituito dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127);

2-bis) riduzione dell'organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio (Comma aggiunto dall'art. 5, L. 15 maggio 1997, n. 127).

c) quando non sia approvato nei termini il bilancio.

2. Nella ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, l'organo regionale di controllo nomina un commissario affinché lo predisponga d'ufficio per sottoporlo al consiglio. In tal caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l'organo regionale di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all'amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.

3. Nei casi diversi da quelli previsti dal numero 1) della lettera b) del comma 1, con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina di un commissario, che esercita le attribuzioni conferitegli con il decreto stesso .

4. Il rinnovo del consiglio nelle ipotesi di scioglimento deve coincidere con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge .

5. I consiglieri cessati dalla carica per effetto dello scioglimento continuano ad esercitare, fino alla nomina dei successori, gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti.

6. Al decreto di scioglimento è allegata la relazione del Ministro contenente i motivi del provvedimento; dell'adozione del decreto di scioglimento è data immediata comunicazione al Parlamento. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

7. Iniziata la procedura di cui ai commi precedenti ed in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, per motivi di grave e urgente necessità, può sospendere, per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, i consigli comunali e provinciali e nominare un commissario per la provvisoria amministrazione dell'ente.

8. Abrogato.

40. Rimozione e sospensione di amministratori di enti locali.

1. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono essere rimossi quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico .

2. In attesa del decreto, il prefetto può sospendere gli amministratori di cui al comma 1 qualora sussistano motivi di grave e urgente necessità.

3. Sono fatte salve le disposizioni dettate dall'articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 .

Capo XII - Controllo sugli atti

41. Comitato regionale di controllo.

1. Per l'esercizio del controllo di legittimità previsto dall'articolo 130 della Costituzione, è istituito, con decreto del presidente della giunta regionale, il comitato regionale di controllo sugli atti dei comuni e delle province.

2. La legge regionale può articolare il comitato in sezioni per territorio o per materia, salvaguardando con forme opportune l'unitarietà di indirizzo.

3. A tal fine la regione, in collaborazione con gli uffici del comitato, cura la pubblicazione periodica delle principali decisioni del comitato regionale di controllo con le relative motivazioni di riferimento.

42. Composizione del comitato.

1. Il comitato regionale di controllo e ogni sua eventuale sezione sono composti:

a) da quattro esperti eletti dal consiglio regionale, di cui:

1) uno iscritto da almeno dieci anni nell'albo degli avvocati, scelto in una terna proposta dal competente ordine professionale;

2) uno iscritto da almeno dieci anni, all'albo dei dottori commercialisti o dei ragionieri, scelto in una terna proposta dai rispettivi ordini professionali;

3) uno scelto tra chi abbia ricoperto complessivamente per almeno cinque anni la carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere regionale o di parlamentare nazionale, ovvero fra i funzionari statali, regionali o degli enti locali in quiescenza, con qualifica non inferiore a dirigente od equiparata;

4) uno scelto tra i magistrati o gli avvocati dello Stato in quiescenza, o tra i professori di ruolo di università in materie giuridiche ed amministrative ovvero tra i segretari comunali o provinciali in quiescenza;

b) da un esperto designato dal commissario del Governo scelto fra funzionari dell'Amministrazione civile dell'interno in servizio nelle rispettive province.

2. Il consiglio regionale elegge non più di due componenti supplenti aventi i requisiti di cui alla lettera a) del comma 1; un terzo supplente, avente i requisiti di cui alla lettera b) del comma 1, è designato dal commissario del Governo.

3. In caso di assenza od impedimento dei componenti effettivi, di cui rispettivamente alle lettere a) e b) del comma 1, intervengono alle sedute i componenti supplenti, eletti o designati per la stessa categoria.

4. Il comitato ed ogni sua sezione eleggono nel proprio seno il presidente ed un vicepresidente scelti tra i componenti eletti dal consiglio regionale.

5. Funge da segretario un funzionario della regione.

6. Il comitato e le sezioni sono rinnovati integralmente a seguito di nuove elezioni del consiglio regionale, nonché quando si dimetta contemporaneamente la maggioranza dei rispettivi componenti.

7. Il presidente ed il vicepresidente del comitato, se dipendenti pubblici, sono collocati fuori ruolo; se dipendenti privati, sono collocati in aspettativa non retribuita.

8. Ai componenti del comitato si applicano le norme relative ai permessi ed alle aspettative previsti per gli amministratori locali.

43. Incompatibilità ed ineleggibilità.

1. Non possono essere eletti e non possono far parte dei comitati regionali di controllo:

a) i parlamentari nazionali ed europei;

b) i componenti del consiglio regionale;

c) gli amministratori di comuni o province o di altri enti soggetti a controllo del comitato, nonché coloro che abbiano ricoperto tali cariche nell'anno precedente alla costituzione del medesimo comitato;

d) coloro che si trovano nelle condizioni di ineleggibilità alle cariche di cui alle lettere b) e c), con esclusione dei magistrati e dei funzionari dello Stato;

e) i dipendenti ed i contabili della regione e degli enti locali sottoposti al controllo del comitato nonché i dipendenti dei partiti presenti nei consigli degli enti locali della regione;

f) i componenti di altro comitato regionale di controllo o delle sezioni di esso;

g) coloro che prestano attività di consulenza o di collaborazione presso la regione o enti sottoposti al controllo regionale;

h) coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti a livello provinciale, regionale o nazionale, nonché coloro che abbiano ricoperto tali incarichi nell'anno precedente, alla costituzione del comitato.

44. Norme regionali.

1. Il funzionamento dei comitati regionali di controllo e delle loro sezioni, le indennità da attribuire ai componenti, le funzioni del presidente e del vicepresidente, le forme di pubblicità della attività dei comitati e di consultazione delle decisioni, nonché il rilascio di copie di esse sono disciplinati dalla legge regionale.

2. La legge regionale detta le norme per l'elezione, a maggioranza qualificata, dei componenti del comitato regionale di controllo e per la tempestiva sostituzione degli stessi in caso di morte, dimissioni, decadenza per reiterate assenze ingiustificate o incompatibilità sopravvenuta, nonché per la supplenza del presidente.

3. Le spese per il funzionamento dei comitati regionali di controllo e dei loro uffici, nonché la corresponsione di un'indennità di carica ai componenti sono a carico della regione.

4. La regione provvede alle strutture serventi del comitato regionale di controllo ispirandosi ai princìpi, dell'adeguatezza funzionale e dell'autonomia dell'organo

45. Deliberazioni soggette al controllo preventivo di legittimità.

(Abrogato dall'art. 17, comma 31, L. 15 maggio 1997, n. 127)

1. Sono soggette al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni che la legge riserva ai consigli comunali e provinciali nonché quelle che i consigli e le giunte intendono, di propria iniziativa, sottoporre al comitato.

2. Le deliberazioni di competenza delle giunte nelle materie sottoelencate sono sottoposte al controllo nei limiti delle illegittimità denunciate, quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l'indicazione delle norme violate entro dieci giorni dall'affissione all'albo pretorio :

a) acquisti, alienazioni, appalti ed in generale tutti i contratti;

b) contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a dipendenti o a terzi;

c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale.

3. Contestualmente all'affissione all'albo le delibere di cui al comma 2 sono comunicate ai capigruppo consiliari.

4. Entro gli stessi termini di cui al comma 2 possono altresì essere sottoposte al controllo le deliberazioni della giunta quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti, con richiesta scritta e motivata, le ritengano viziate di incompetenza o assunte in contrasto con atti fondamentali del consiglio .

5. Non sono soggette al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni meramente esecutive di altre deliberazioni Abrogato dall'art. 17, comma 31, L. 15 maggio 1997, n. 127.

46. Modalità del controllo preventivo di legittimità degli atti e del bilancio.

Abrogato dall'art. 17, comma 31, L. 15 maggio 1997, n. 127

1. Salvo quanto disposto dagli articoli seguenti, le deliberazioni indicate dall'articolo 45 diventano esecutive se nel termine di venti giorni dalla ricezione delle stesse il comitato regionale di controllo non abbia adottato un provvedimento di annullamento, dandone nel medesimo termine comunicazione all'ente interessato.

2. Il controllo di legittimità comporta la verifica della conformità dell'atto alle norme vigenti nonché alle norme statutarie dell'ente, esclusa ogni diversa valutazione, dell'interesse pubblico perseguito.

3. Il provvedimento di annullamento indica, anche con riferimento ai princìpi generali dell'ordinamento giuridico, le norme violate.

4. Il termine è interrotto per una sola volta se prima della sua scadenza il comitato regionale di controllo chieda chiarimenti o elementi integrativi di giudizio all'ente deliberante. In tal caso il termine per l'annullamento riprende a decorrere dal momento della ricezione degli atti richiesti.

5. Le deliberazioni diventano esecutive prima del decorso del termine se il comitato regionale di controllo dà comunicazione di non aver riscontrato vizi di legittimità.

6. La trasmissione all'organo di controllo delle deliberazioni dichiarate urgenti ha luogo entro cinque giorni dalla adozione, a pena di decadenza.

7. La legge regionale stabilisce le modalità ed i termini per l'invio delle deliberazioni all'organo di controllo e per la disciplina della decorrenza dei termini assegnati ai comitati regionali ai fini dell'esercizio del controllo stesso.

8. Il termine per l'esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo da parte del comitato di controllo è di quaranta giorni. Il decorso del termine determina l'esecutività delle deliberazioni ai sensi del comma 1.

9. Il comitato di controllo può indicare all'ente interessato le modificazioni da apportare alle risultanze del conto consuntivo con l'invito ad adottarle entro il termine massimo di trenta giorni.

10. Nel caso di mancata adozione del conto consuntivo entro il termine di legge, di mancata adozione delle modificazioni entro il termine previsto dal comma 9 o di annullamento della deliberazione di adozione del conto consuntivo da parte del comitato di controllo, questo provvede alla nomina di uno o più commissari per la redazione del conto stesso.

11. Nell'esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo il controllo di legittimità comprende la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti giustificativi allegati alle stesse Abrogato dall'art. 17, comma 31, L. 15 maggio 1997, n. 127.

47. Pubblicazione ed esecutività delle deliberazioni.

1. Tutte le deliberazioni comunali e provinciali sono pubblicate mediante affissione all'albo pretorio, nella sede dell'ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge.

2. Le deliberazioni non soggette al controllo preventivo di legittimità diventano esecutive dopo il decimo giorno dalla loro pubblicazione.

3. Nel caso di urgenza le deliberazioni del consiglio o della giunta possono essere dichiarate immediatamente eseguibili con il voto espresso dalla maggioranza dei componenti.

48. Potere sostitutivo. Abrogato dall'art. 17, comma 31, L. 15 maggio 1997, n. 127

1. Qualora i comuni e le province, sebbene invitati a provvedere entro congruo termine, ritardino od omettano di compiere atti obbligatori per legge, il comitato regionale di controllo provvede a mezzo di un commissario. Il termine assegnato non può essere inferiore a trenta giorni, salvo deroga motivata per i casi d'urgenza.

2. Le modalità di esercizio del potere di cui al comma 1 sono regolate dalla legge regionale

49. Controllo e vigilanza nei confronti di enti diversi dai comuni e dalle province.

1. Salvo diverse disposizioni recate dalle leggi vigenti, alle unità sanitarie locali, ai consorzi, alle unioni di comuni e alle comunità montane si applicano le norme sul controllo e sulla vigilanza dettate per i comuni e per le province.

50. Pareri obbligatori.

1. I pareri obbligatori delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, delle regioni e di ogni altro ente sottoposto a tutela statale, regionale e subregionale, prescritti da qualsiasi norma avente forza di legge ai fini della programmazione, progettazione ed esecuzione di opere pubbliche o di altre attività degli enti locali, sono espressi entro il termine di sessanta giorni dalla richiesta, sempre che la legge non prescriva un termine minore.

2. Il termine, previa motivata comunicazione all'ente locale interessato da parte dell'amministrazione chiamata ad esprimere il parere, è prorogato per un tempo pari a quello del termine originario.

3. Decorso infruttuosamente il termine originario, ovvero il termine prorogato, si prescinde dal parere.

Capo XIII - Uffici e personale

51. Organizzazione degli uffici e del personale.

1. I comuni e le province disciplinano con appositi regolamenti, in conformità con lo statuto, l'ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, e secondo princìpi di professionalità e responsabilità. Nelle materie soggette a riserva di legge ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la potestà regolamentare degli enti si esercita tenendo conto della contrattazione collettiva nazionale e comunque in modo da non determinarne disapplicazioni durante il periodo di vigenza. Nelle materie non riservate alla legge il comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, si applica anche ai regolamenti di cui al presente comma (Comma così sostituito dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127).

2. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti.

3. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino agli organi di governo dell'ente. Sono ad essi attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:

a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;

b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;

c) la stipulazione dei contratti;

d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;

e) gli atti di amministrazione e gestione del personale;

f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie;

f-bis) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale (Lettera aggiunta dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127);

g) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;

h) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco (Periodo così sostituito dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127).

3-bis. Nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale le funzioni di cui al comma 3, fatta salva l'applicazione del comma 68, lettera c), dell'articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, possono essere attribuite, a seguito di provvedimento motivato del sindaco, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, anche in deroga a ogni diversa disposizione (Comma aggiunto dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127, , nel testo integrato dall'art. 2, comma 13, L. 16 giugno 1998, n. 191).

3-ter. In attesa di apposita definizione contrattuale, nei comuni di cui al comma 3-bis, ai responsabili di uffici e servizi possono essere assegnate indennità di funzione localmente determinate, nell'ambito delle complessive disponibilità di bilancio dei comuni medesimi (Comma aggiunto dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127, , nel testo integrato dall'art. 2, comma 13, L. 16 giugno 1998, n. 191).

3-quater Nei comuni tra loro convenzionati per l'esercizio di funzioni amministrative o per l'espletamento associato dei servizi, ai responsabili degli uffici o dei servizi che svolgano la loro funzione anche per gli altri comuni, in attesa di apposita definizione contrattuale, possono essere assegnate indennità di funzione in deroga alle normative vigenti. La relativa maggiore spesa sarà rimborsata dagli altri enti convenzionati nei termini previsti dalla convenzione (Comma aggiunto dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127, , nel testo integrato dall'art. 2, comma 13, L. 16 giugno 1998, n. 191).

4. I dirigenti sono direttamente responsabili, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione.

5. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire.

5-bis. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti locali, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell'ente, o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità. I contratti di cui al presente comma non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica. Il trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato della giunta, da una indennità ad personam, commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l'eventuale indennità ad personam sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell'ente e non vanno imputati al costo contrattuale e del personale. Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l'ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all'articolo 45 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni .

6. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia e sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi loro assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, e successive modificazioni, o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dall'articolo 20 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e dai contratti collettivi di lavoro. L'attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concorsi (Comma così sostituito dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127).

7. Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità. Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può inoltre prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, purché l'ente non abbia dichiarato il dissesto e non versi nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all'articolo 45 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni. Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali. Con provvedimento motivato della giunta, al personale di cui al precedente periodo il trattamento economico accessorio previsto dai contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale (Comma così modificato dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127).

8. Lo stato giuridico ed il trattameto economico dei dipendenti degli enti locali è disciplinato con accordi collettivi nazionali di durata triennale resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica secondo la procedura prevista dall'articolo 6 della legge 29 marzo 1983, n. 93 (8/n). In ogni caso rimane riservata alla legge la disciplina dell'accesso al rapporto di pubblico impiego, delle cause di cessazione dello stesso e delle garanzie del personale in ordine all'esercizio dei diritti fondamentali. Nell'ambito dei princìpi stabiliti dalla legge, rimane inoltre riservata agli atti normativi degli enti, secondo i rispettivi ordinamenti, la disciplina relativa alle modalità di conferimento della titolarità degli uffici nonché alla determinazione ed alla consistenza dei ruoli organici complessivi (Abrogato).

9. La responsabilità, le sanzioni disciplinari, il relativo procedimento, la destituzione d'ufficio e la riammissione in servizio sono regolati secondo le norme previste per gli impiegati civili dello Stato (Abrogato).

10. E' istituita in ogni ente una commissione di disciplina, composta dal capo dell'amministrazione o da un suo delegato, che la presiede, dal segretario dell'ente e da un dipendente designato all'inizio di ogni anno dal personale dell'ente secondo le modalità stabilite dal regolamento (abrogato).

11. Le norme del presente articolo si applicano anche agli uffici ed al personale degli enti dipendenti, dei consorzi e delle comunità montane, salvo quanto diversamente previsto dalla legge.

51-bis. Direttore generale. Articolo aggiunto dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127

1. Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e il presidente della provincia, previa deliberazione della giunta comunale o provinciale, possono nominare un direttore generale, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, e secondo criteri stabiliti dal regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi, che provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla gestione dell'ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Compete in particolare al direttore generale la predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dalla lettera a) del comma 2 dell'articolo 40 del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, nonché la proposta di piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 11 del predetto decreto legislativo n. 77 del 1995. A tali fini, al direttore generale rispondono, nell'esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell'ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia.

2. Il direttore generale è revocato dal sindaco o dal presidente della provincia, previa deliberazione della giunta comunale o provinciale. La durata dell'incarico non può eccedere quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia.

3. Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti è consentito procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzione tra comuni le cui popolazioni assommate raggiungano i 15.000 abitanti. In tal caso il direttore generale dovrà provvedere anche alla gestione coordinata o unitaria dei servizi tra i comuni interessati.

4. Quando non risultino stipulate le convenzioni previste dal comma 3 e in ogni altro caso in cui il direttore generale non sia stato nominato, le relative funzioni possono essere conferite dal sindaco o dal presidente della provincia al segretario .

52. Segretari comunali e provinciali. (Articolo abrogato dall'art. 17, comma 86, L. 15 maggio 1997, n. 127).

1. Il comune e la provincia hanno un segretario titolare, funzionario statale, iscritto in apposito albo nazionale territorialmente articolato, nominato e revocato d'intesa con il sindaco e con il presidente della provincia

2. La legge regola l'istituzione dell'albo e i requisiti professionali per la iscrizione, la classificazione degli enti e il trattamento economico, le attribuzioni e le responsabilità, i trasferimenti ed i provvedimenti disciplinari, le modalità, di accesso e progressione in carriera, nonché l'organismo collegiale, territorialmente articolato, presieduto dal Ministro dell'interno o da un suo delegato e composto pariteticamente dai rappresentanti degli enti locali, del Ministero dell'interno e dei segretari, preposto alla tenuta dell'albo e chiamato ad esercitare funzioni di indirizzo e di amministrazione dei segretari comunali e provinciali. La legge disciplina altresì le modalità del concorso degli enti locali alla nomina e alla revoca del segretario fra gli iscritti all'albo di cui al comma .

3. Il segretario, nel rispetto delle direttive impartitegli dal sindaco o dal presidente della provincia da cui dipende funzionalmente, oltre alle competenze di cui all'articolo 51, sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, cura l'attuazione dei provvedimenti, è responsabile dell'istruttoria delle deliberazioni, provvede ai relativi atti esecutivi e partecipa alle riunioni della giunta e del consiglio.

4. Lo statuto e il regolamento possono prevedere un vicesegretario per lo svolgimento delle funzioni vicarie del segretario, per coadiuvarlo o sostituirlo nei casi di vacanza, assenza o impedimento.

5. Fino all'entrata in vigore della legge di cui al comma 2 si applica la disciplina vigente, salvo quanto disposto dalla presente legge (Articolo abrogato dall'art. 17, comma 86, L. 15 maggio 1997, n. 127).

53. Responsabilità del segretario degli enti locali e dei dirigenti dei servizi.

1. Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica e contabile, rispettivamente del responsabile del servizio interessato e del responsabile di ragioneria. I pareri sono inseriti nella deliberazione (Comma così modificato dall'art. 17, comma 85, L. 15 maggio 1997, n. 127).

2. Nel caso in cui l'ente non abbia funzionari responsabili dei servizi, il parere è espresso dal segretario dell'ente, in relazione alle sue competenze.

3. I soggetti di cui al comma 1 rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi.

4. I segretari comunali e provinciali sono responsabili degli atti e delle procedure attuative delle deliberazioni di cui al comma 1, unitamente al funzionario preposto (Comma abrogato dall'art. 17, comma 86, L. 15 maggio 1997, n. 127)

Capo XIV - Finanza e contabilità

54. Finanza locale.

1. L'ordinamento della finanza locale è riservato alla legge.

2. Ai comuni e alle province la legge riconosce, nell'ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite.

3. La legge assicura, altresì, agli enti locali potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente.

4. La finanza dei comuni e delle province è costituita da:

a) imposte proprie;

b) addizionali e compartecipazioni ad imposte erariali o regionali;

c) tasse e diritti per servizi pubblici;

d) trasferimenti erariali;

e) trasferimenti regionali;

f) altre entrate proprie, anche di natura patrimoniale;

g) risorse per investimenti;

h) altre entrate.

5. I trasferimenti erariali devono garantire i servizi locali indispensabili e sono ripartiti in base a criteri obiettivi che tengano conto della popolazione, del territorio e delle condizioni socio-economiche, nonché in base ad una perequata distribuzione delle risorse che tenga conto degli squilibri di fiscalità locale.

6. Lo Stato assegna specifici contributi per fronteggiare situazioni eccezionali.

7. Le entrate fiscali finanziano i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità ed integrano la contribuzione erariale per l'erogazione dei servizi pubblici indispensabili.

8. A ciascun ente locale spettano le tasse, i diritti, le tariffe e i corrispettivi sui servizi di propria competenza. Gli enti locali determinano per i servizi pubblici tariffe o corrispettivi a carico degli utenti, anche in modo non generalizzato. Lo Stato e le regioni, qualora prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province ovvero fissino prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, debbono garantire agli enti locali risorse finanziarie compensative.

9. La legge determina un fondo nazionale ordinario per contribuire ad investimenti degli enti locali destinati alla realizzazione di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico.

10. La legge determina un fondo nazionale speciale per finanziare con criteri perequativi gli investimenti destinati alla realizzazione di opere pubbliche unicamente in aree o per situazioni definite dalla legge statale.

11. L'ammontare complessivo dei trasferimenti e dei fondi è determinato in base a parametri fissati dalla legge per ciascuno degli anni previsti dal bilancio pluriennale dello Stato e non è riducibile nel triennio.

12. Le regioni concorrono al finanziamento degli enti locali per la realizzazione del piano regionale di sviluppo e dei programmi di investimento, assicurando la copertura finanziaria degli oneri necessari all'esercizio di funzioni trasferite o delegate.

13. Le risorse spettanti a comuni e province per spese di investimento previste da leggi settoriali dello Stato sono distribuite sulla base di programmi regionali. Le regioni, inoltre, determinano con legge i finanziamenti per le funzioni da esse attribuite agli enti locali in relazione al costo di gestione dei servizi sulla base della programmazione regionale.



55. Bilancio e programmazione finanziaria.

1. L'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali è riservato alla legge dello Stato.

2. I comuni e le province deliberano entro il 31 ottobre il bilancio di previsione per l'anno successivo, osservando i princìpi dell'universalità, dell'integrità e del pareggio economico e finanziario .

3. Il bilancio è corredato di una relazione previsionale e programmatica e di un bilancio pluriennale di durata pari a quello della regione di appartenenza.

4. Il bilancio e i suoi allegati devono comunque essere redatti in modo da consentirne la lettura per programmi, servizi ed interventi.

5. I provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria (Comma così sostituito dall'art. 6, L. 15 maggio 1997, n. 127).

6. I risultati di gestione sono rilevati mediante contabilità economica e dimostrati nel rendiconto comprendente il conto del bilancio e il conto del patrimonio.

7. Al conto consuntivo è allegata una relazione illustrativa della giunta che esprime le valutazioni di efficacia dell'azione condotta sulla base dei risultati conseguiti in rapporto ai programmi ed ai costi sostenuti.

8. Il conto consuntivo è deliberato dal consiglio entro il 30 giugno dell'anno successivo .

56. Deliberazioni a contrattare e relative procedure.

1. La stipulazione dei contratti deve essere preceduta da apposita deliberazione indicante:

a) il fine che con il contratto si intende perseguire;

b) l'oggetto del contratto, la sua forma e le clausole ritenute essenziali;

c) le modalità di scelta del contraente ammesse dalle disposizioni vigenti in materia di contratti delle amministrazioni dello Stato e le ragioni che ne sono alla base.

2. Gli enti locali si attengono alle procedure previste dalla normativa della Comunità economica europea recepita o comunque vigente nell'ordinamento giuridico italiano.

57. Revisione economico-finanziaria.

1. I consigli comunali e provinciali eleggono, con voto limitato a due componenti, un collegio di revisori composto da tre membri.

2. I componenti del collegio dei revisori dei conti devono essere scelti:

a) uno tra gli iscritti nel ruolo dei revisori ufficiali dei conti, il quale funge da presidente;

b) uno tra gli iscritti nell'albo dei dottori commercialisti;

c) uno tra gli iscritti nell'albo dei ragionieri.

3. Essi durano in carica tre anni, non sono revocabili, salvo inadempienza, e sono rieleggibili per una sola volta.

4. I revisori hanno diritto di accesso agli atti e documenti dell'ente.

5. Il collegio dei revisori, in conformità allo statuto ed al regolamento, collabora con il consiglio nella sua funzione di controllo e di indirizzo, esercita la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione dell'ente ed attesta la corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione, redigendo apposita relazione, che accompagna la proposta di deliberazione consiliare del conto consuntivo.

6. Nella stessa relazione il collegio esprime rilievi e proposte tendenti a conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione.

7. I revisori dei conti rispondono della verità delle loro attestazioni e adempiono ai loro doveri con la diligenza del mandatario. Ove riscontrino gravi irregolarità nella gestione dell'ente, ne riferiscono immediatamente al consiglio.

8. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e nelle comunità montane la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore eletto dal consiglio comunale o dall'assemblea della comunità montana a maggioranza assoluta dei suoi membri e scelto tra esperti iscritti nel ruolo e negli albi di cui al comma 2, lettere a), b) e c)

9. Lo statuto può prevedere forme di controllo economico interno della gestione.

Capo XV - Responsabilità

58. Disposizioni in materia di responsabilità.

1. Per gli amministratori e per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato.

2. Il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti locali, nonché coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti .

2-bis. Gli agenti contabili degli enti locali, salvo che la Corte dei conti lo richieda, non sono tenuti alla trasmissione della documentazione occorrente per il giudizio di conto di cui all'articolo 74 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, ed agli articoli 44 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Comma aggiunto dall'art. 10, L. 15 maggio 1997, n. 127).

3. I componenti dei comitati regionali di controllo sono personalmente e solidalmente responsabili nei confronti degli enti locali per i danni a questi arrecati con dolo o colpa grave nell'esercizio delle loro funzioni.

4. L'azione di responsabilità si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto. La responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale e non si estende agli eredi

Capo XVI - Disposizioni finali e transitorie

59. Termine per l'adozione dello statuto.

1. I consigli comunali e provinciali deliberano lo statuto, il regolamento di contabilità ed il regolamento per la disciplina dei contratti dell'ente entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Sino all'entrata in vigore dello statuto, limitatamente alle materie e discipline ad esso espressamente demandate, continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge in quanto con essa compatibili.

3. Fermo restando quanto stabilito nel comma 2 del presente articolo, fino all'entrata in vigore dello statuto il numero degli assessori è determinato nella misura massima prevista dall'articolo 33. All'elezione del sindaco, del presidente della provincia e della giunta si procede secondo le modalità previste dall'articolo 34. I termini di cui al comma 2 dell'articolo 34, limitatamente alle amministrazioni locali rinnovate nelle elezioni del 6-7 maggio 1990, decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge.

4. Presso il Ministero dell'interno è istituito l'ufficio per la raccolta e la conservazione degli statuti comunali e provinciali, che cura anche adeguate forme di pubblicità degli statuti stessi.

5. Sino all'approvazione della disciplina organica dell'ordinamento finanziario e contabile degli enti locali continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.

60. Revisione dei consorzi, delle associazioni e delle circoscrizioni.

1. Entro il 30 giugno 1996 i comuni e le province provvedono, anche in deroga ai limiti di durata eventualmente previsti dai relativi atti costitutivi, alla revisione dei consorzi e delle altre forme associative in atto, costituiti tra enti locali, sopprimendoli o trasformandoli nelle forme previste dalla presente legge .

1-bis. Decorso il termine di cui al comma 1, il prefetto diffida gli enti consortili a provvedere entro il termine di tre mesi durante il quale il consorzio può compiere soltanto atti di ordinaria amministrazione. Qualora allo scadere del termine assegnato tutti gli enti aderenti o comunque corrispondenti ad una quota di partecipazione complessivamente superiore al 50,1 per cento del totale non abbiano deliberato la revisione del consorzio, il prefetto ne dà comunicazione al comitato regionale di controllo per l'adozione dei conseguenti provvedimenti di competenza nei confronti degli enti inadempienti e nomina un commissario o il collegio commissariale per la temporanea gestione del consorzio. Il prefetto può attribuire le funzioni di commissario collegiale all'organo del consorzio che per statuto esercita le funzioni di amministrazione dell'ente. Il commissario o il collegio commissariale restano in carica per la liquidazione del consorzio nel caso della soppressione, ovvero fino alla eventuale ricostituzione degli organi ordinari in caso di trasformazione nelle forme di cui al comma 1 .

1-ter. Fino alla data di entrata in vigore della normativa di attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36, è sospesa la revisione dei consorzi e delle altre forme associative in atto, per il servizio idrico ed il trattamento delle acque reflue, costituiti tra enti locali, con popolazione inferiore a 15 mila abitanti .

2. Le circoscrizioni istituite ai sensi della legge 8 aprile 1976, n. 278, incompatibili con il nuovo assetto dettato dall'articolo 13, si intendono prorogate sino alla prima scadenza dei consigli comunali successiva alla adozione dello statuto comunale.

61. Norme regionali in materia di organismi comprensoriali e associativi, di comunità montane e di organi di controllo.

1. Entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni adeguano la loro legislazione in materia di organismi comprensoriali e di forme associative fra enti locali ai princìpi della presente legge.

2. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni dispongono il riordino delle comunità montane secondo i criteri di cui all'articolo 28, provvedendo anche alla regolamentazione dei rapporti esistenti e alle modalità e tempi di attuazione di detto riordino.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni provvedono alla ricostituzione degli organi di controllo in conformità alle disposizioni contenute nella presente legge, nonché alla relativa regolamentazione legislativa regionale.

4. Il capo III del titolo V della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e successive modificazioni, conserva efficacia fino a quando le regioni non avranno provveduto agli adempimenti previsti dal comma 3.

62. Delega al Governo per la regione Valle d'Aosta.

1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, il Governo è delegato ad emanare per la regione Valle d'Aosta, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con le procedure di cui all'articolo 3 della legge 5 agosto 1981, n. 453, uno o più decreti aventi valore di legge ordinaria per armonizzare le disposizioni della presente legge con l'ordinamento della regione medesima.

2. Le norme di cui al comma 1 debbono tener conto delle particolari condizioni di autonomia attribuita alla regione.

63. Delega al Governo per la prima revisione delle circoscrizioni provinciali.

1. Ai fini della prima applicazione dell'articolo 16 ed in attuazione dell'articolo 17, il Governo è delegato ad emanare, nel termine di due anni dalla entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la revisione delle circoscrizioni provinciali e per la istituzione di nuove province conseguenti alla delimitazione territoriale delle aree metropolitane effettuata dalla regione .

2. Il Governo è altresì delegato, entro lo stesso termine, ad emanare decreti legislativi per l'istituzione di nuove province, compatibilmente con quanto stabilito al comma 1, per tutte le aree territoriali nelle quali, alla data del 31 dicembre 1989, è stata già avviata la formale iniziativa per nuove province da parte dei comuni ed è già stato deliberato il parere favorevole da parte della regione (Biella, Crotone, Lecco, Lodi, Prato, Rimini e Verbania), ovvero il parere favorevole venga deliberato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge .

3. I provvedimenti delegati per la revisione delle circoscrizioni provinciali e per la istituzione di nuove province saranno emanati, ai sensi del comma 1, con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 16.

4. Il Governo, acquisite le deliberazioni e i pareri e accertata l'osservanza degli adempimenti prescritti dalla presente legge, provvede ad inviare gli schemi dei decreti alle regioni interessate ed alle competenti Commissioni parlamentari permanenti; entro i successivi sei mesi le regioni e le Commissioni parlamentari permanenti esprimono i loro pareri.

5. All'onere di cui ai commi precedenti, valutato in lire 3,5 miliardi per ciascuno degli anni 1990, 1991 e 1992, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1990-1992, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1990, all'uopo utilizzando l'accantonamento "Istituzione di nuove province".

6. Abrogato daal Finanziaria 99 L.20.12.1998

64. Abrogazione di norme.

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 59, comma 2, sono abrogati:

a) il regolamento approvato con regio decreto 12 febbraio 1911, n. 297, e successive modificazioni e integrazioni, salvo gli articoli da 166 a 174 e da 179 a 181;

b) il testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 4 febbraio 1915, n. 148 , e successive modificazioni e integrazioni, salvo gli articoli 125, 127, 289 e 290;

c) il testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e successive modificazioni e integrazioni, salvo gli articoli 6; 18, primo comma; 19; 20; 23, primo comma; 24; 84; 87, primo comma; 89; 96; da 106 a 110; 140, primo comma; 142, primo comma; 147; 155; 279; e, limitatamente alle funzioni della commissione centrale per la finanza locale previste da leggi speciali, gli articoli da 328 a 331;

d) il primo comma dell'articolo 6 della legge 18 marzo 1968, n. 444, intendendosi attribuita ai comuni la relativa competenza in materia di edilizia scolastica .

2. Con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogate tutte le altre disposizioni con essa incompatibili, salvo che la legge stessa preveda tempi diversi per la cessazione della loro efficacia.

3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo emana un testo unico di tutte le disposizioni rimaste in vigore in materia di ordinamento degli enti locali.

65. Entrata in vigore della legge.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.